Sono passati tre anni dalla morte di Giuseppe Galasso. E la sua mancanza è avvertita non solo da chi lo ha conosciuto intensamente, da allievi ed amici. Il vuoto che ha lasciato si sente soprattutto nella vita culturale del nostro Paese.
Sono passati tre anni dalla morte di Giuseppe Galasso. E la sua mancanza è avvertita non solo da chi lo ha conosciuto intensamente, da allievi ed amici. Il vuoto che ha lasciato si sente soprattutto nella vita culturale del nostro Paese.
Oggi, a 160 anni dall’Unità d’Italia, il bisogno di conoscenza della nostra storia nazionale non riguarda solo i cittadini italiani, ma anche i “nuovi italiani”, tutti gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza nel nostro Paese e coloro che, pur vivendoci e lavorandoci da anni, non vedono ancora riconosciuta la loro italianità.
Quattrocento anni fa, precisamente nel 1621, Robert Burton, il pastore anglicano custode a Oxford della stupenda e più fornita biblioteca del tempo, dava alle stampe The Anatomy of Melancholy.
In Italia fino ad oggi è stata disponibile solo la traduzione della lunga e corposa premessa dell’opera, con una splendida introduzione di Starobinski dal titolo L’utopia di Robert Burton.
Sicilia 1837. Circa due secoli dopo la peste del Seicento l’uso politico della pandemia si ripropone nei giorni del colera a Siracusa. Risentimenti e faide familiari, funzionari e politici attaccati come untori, il colera utilizzato come ingrediente decisivo della lotta politica da parte delle forze liberali antiborboniche: tutto questo convive nei mesi del colera siciliano.
La peste del 1656 a Napoli diventa il castigo di Dio per il doppio peccato imperdonabile commesso dal popolo nel 1647-48: essersi affidato ad un miscredente, sodomita, demonio come Masaniello anticristo; essersi rivoltato contro il Dio in terra, il legittimo sovrano spagnolo.
La pandemia come castigo divino per le deviazioni dalla retta via dell’ortodossia è contrastata dai provvedimenti per contenere il contagio.
Si può partire dalla mirabile descrizione della peste di Atene offerta da Tucidide. Come non pensare, ad esempio, a Wuhan, alla difficoltà di stabilire il termine a quo del Coronavirus, quando si legge la pagina del grande storico greco che racconta della controversa origine dell’epidemia, delle più svariate e fantasiose ipotesi sulla sua genesi?
Siamo alla seconda tappa di questo percorso del lunedì, che ha preso l’avvio da una riflessione sui rapporti fra storia, cronaca, giornalismo. L’idea di base è stata la contemporaneità della storia: la produttività di un concetto proposto da Croce per ricostruire e interpretare l’attualità della pandemia.
“Solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato”.
Il primo capitolo di Teoria e storia della storiografia – l’opera magistrale di Benedetto Croce – è dedicato ai rapporti fra storia e cronaca. Dovrebbe essere la nostra stella polare nel momento in cui, come storici, ricostruiamo e interpretiamo il tempo della pandemia.
Il Coronavirus e la crisi che esso ha determinato hanno aggravato i problemi della solitudine.
Oltre alle conseguenze economiche, sociali, civili, il Covid-19 ha avuto un’incidenza pesantissima su ragazzi e giovani. È aumentato il numero di minori in povertà assoluta: in Italia un milione e 200mila, una cifra triplicata dopo la crisi del 2008. Il 41% di bambini e ragazzi vivono in abitazioni sovraffollate.
Solitudine, silenzio, paura. È il trinomio che ha caratterizzato la condizione degli ammalati gravi da Covid-19 negli ospedali, gli intubati, i ricoverati in terapia intensiva. Il clima che qui si è vissuto ha accomunato pazienti, personale medico e sanitario, tutti gli operatori a diretto contatto con l’epidemia. I malati esibiscono un carattere comune: sotto il lenzuolo bianco, facce bianche sono ridotte a due occhi neri.
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